A luglio 2015 sembrava cosa fatta, e invece il Piano Olivicolo Nazionale non è ancora operativo; cresce dunque l’attesa degli operatori per questo programma, caratterizzato da una disponibilità finanziaria di 32 milioni di euro per tre annualità, che dovrebbe rilanciare l’olivicoltura nazionale, migliorandone la debolezza strutturale, oggi il principale ostacolo alla competitività con le produzioni dei concorrenti più agguerriti.

Il Piano prevede interventi in 5 aree strategiche: l’aumento del potenziale produttivo attraverso un rinnovamento degli impianti, l’innovazione per migliorare l’efficienza dell’olivicoltura italiana, la valorizzazione commerciale della produzione oleicola nazionale, il recupero varietale delle cultivar nazionali di olive da mensa e infine, ma non certo per ultimo, l’aggregazione per migliorare l’organizzazione economica degli operatori della filiera.

Ha fermare il tutto è stata la Conferenza Stato-Regioni del 17 marzo 2016; le perplessità avamzate dagli assessori regionali all’agricoltura, per cui hanno chiesto un incontro al Ministro Martina, riguardano le potenziali interazioni tra i Piani di Sviluppo Rurale (PSR), in particolare le misure in campo olivicolo, e il Piano olivicolo nazionale.  E’ noto che sono le Regioni ad aver in mano la cassa dei Psr e non accettano di buon grado che linee guida possano essere centralizzate presso il Ministero delle politiche agricole.

Quindi il via libera al Piano Olivicolo Nazionale, è condizionato a un accordo politico tra il titolare di via XX settembre e gli assessori regionali. Un compromesso non semplice e che richiederà tempo.